Il Perfezionista

perfezionismo psicologia

“Tendenza a chiedere a se stessi o agli altri delle prestazioni al massimo delle proprie o delle altrui disponibilità se non al di sopra delle rispettive capacità allo scopo di soddisfare delle aspirazioni che la psicoanalisi vede originate dalle ambizioni dei genitori (perfezionismo parentale) e poi introiettate dall’ideale dell’Io che si fa esigente nei confronti dell’Io, con la possibilità di generare una situazione conflittuale tra le mete prefissate e le possibilità a disposizione per attuarle.” (Dizionario di Psicologia, Umberto Galimberti)
Il perfezionismo è una spinta a dare il meglio di sé, in quantità adeguate aiuta a concentrarsi sugli obiettivi e a realizzarli con efficacia. La voglia di far bene ci spinge all’autorealizzazione.
Invece quando è esagerato (patologico) diventa un regime interiore molto rigido: ci si pongono standard elevatissimi, si ha costante paura di fallire, la persona misura dolorosamente lo scarto tra ciò che fa e ciò che “dovrebbe fare”, e nonostante le conferme sociali, vive nell’attesa di essere smascherato dagli altri.
Un vissuto costante è quindi un senso di inadeguatezza indipendentemente dalle prestazioni fornite: è sempre possibile pensare che si sarebbe potuto o dovuto fare di più. Il perfezionista valuta sempre ciò che manca alla perfezione, non riesce a vedere quanto di positivo c’è in quello che egli fa, non riesce a sentirsi mai sufficientemente soddisfatto dalle prestazioni che fornisce nonostante, in genere, siano superiori alla media.
I giudizi sociali positivi danno solo una soddisfazione passeggera, inoltre sapendo di non avere fatto tutto ciò che avrebbe potuto o dovuto fare, egli non può credere fino in fondo a quei giudizi.

C’è la sensazione di vivere costantemente sotto esame, ogni nuova prova riattiva il timore del fallimento.
Un altro elemento costante e spiacevole è la pressione che in presenza di altri il perfezionista sente nel cercare di risultare inappuntabile, normale. Lo sforzo lo porta ad un formalismo che lo irrigidisce e riduce la sua spontaneità.
Le strategie usate per far fronte allo stress sono in genere inefficaci: l’iperefficienza, cioè aumenta la tendenza ad imporsi livelli di attività sempre più elevati, e l’iper impegno su più fronti. Si crea così un circolo vizioso.

In famiglia spesso il bisogno di ordine e di efficienza li trasforma in controllori e giudici dei comportamenti degli altri familiari. Le donne che si dedicano perfezionisticamente alla casa, ad esempio, creano disagio agli altri quando il loro perfezionismo è esagerato: l’amore dell’ordine e della pulizia diventa un valore che i familiari sentono come oppressivo, perché li induce a muoversi con circospezione in casa, con la perenne paura di sbagliare e di essere rimproverati.

Le dinamiche del perfezionismo si evidenziano nel disturbo ossessivo-compulsivo. Un altro sviluppo rilevante del perfezionismo sono i disturbi alimentari, l’anoressia e la bulimia.
In altri casi il perfezionismo può dare luogo a sintomi psicosomatici da stress (cefalea, stanchezza, dolori muscolari, ecc.), o anche a episodi depressivi. Tenendo conto dello sforzo e della tensione cui il perfezionista si sottopone, sia la sintomatologia psicosomatica che quella depressiva hanno il significato di esprimere la situazione di stress e di tentare di compensarlo, inducendo il soggetto a prendersi cura di sé o costringendolo all’inattività.

Che cosa distingue il desiderio umano di dare il meglio di sé dal perfezionismo? Nel primo caso lo sforzo di autorealizzazione si allenta via via che il soggetto riesce ad esprimere e ad apprezzare le sue qualità, c’è gioia e piacere creativo nell’affrontare il compito, e la possibilità di fallire è ben tollerata. Invece nel perfezionismo eccessivo non c’è soddisfazione, quali che siano i risultati conseguiti, si associa costantemente ad un’insoddisfazione e alla necessità di darsi da fare sempre di più.

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