La conclusione di una terapia non sempre avviene in modo regolare e ordinato, a volte è determinata da fattori esterni, altre volte il paziente decide di interrompere appena i sintomi si sono alleviati, ma quando le cose vanno bene il percorso di terapia arriva ad una sua naturale conclusione, di solito un momento concordato insieme tra paziente e terapeuta che valutano il lavoro svolto e possono entrambi ritenersi soddisfatti dei risultati raggiunti. Non si è verificata soltanto una riduzione dei sintomi iniziali, ma sono avvenuti dei cambiamenti che il paziente riesce a identificare chiaramente, e che hanno effetti nella sua vita di tutti i giorni ampliandone le potenzialità. Il paziente riesce a cavarsela con ciò che accade nella sua mente, contemporaneamente la sua vita fuori dell’analisi diventa più soddisfacente; le difficoltà ed i conflitti possono essere affrontati e tollerati.Quando compare una tematica relativa alla conclusione dell’analisi segna un momento importante dello svolgimento della cura e inaugura di fatto un periodo particolare caratterizzato da un proprio decorso. La possibilità di pensare ad una conclusione si affaccia quando si sono sviluppati introspezione, pensiero analitico e responsabilità di fronte alla realtà psichica, possibilità dell’autoanalisi, e anche la percezione che esista una sicurezza del proprio mondo interno.
Rosenthal ritiene che si possa iniziare a pensare alla conclusione quando l’analisi sia divenuta internamente interminabile.
È un momento carico di significato, la conclusione della terapia ha un alto valore simbolico poiché rappresenta un modo per prendere le distanze da una figura di riferimento, acquisendo la propria autonomia e indipendenza; non è uno strappo, ma un trampolino di lancio.
Per Freud la rielaborazione è il processo che porta a una conclusione naturale della terapia; nel corso del trattamento il paziente interiorizza un modo di vedere se stesso e il proprio mondo interno che comprende anche lo sguardo del terapeuta e impara ad accettare sia il terapeuta per quello che è, sia i limiti della relazione, potendo sperimentare sia gratitudine per i progressi fatti sia a tollerare la delusione per quello che è mancato.
Un buon terapeuta è capace di trasmettere ai suoi pazienti la sensazione di essere accettati e apprezzati per quello che sono; riconosce però anche le loro sofferenze, offre quindi il suo aiuto per cercare di alleviarle, favorendo lo sviluppo di nuovi possibili modi di relazionarsi a se stessi e con gli altri.
Il funzionamento esterno del paziente nel suo ambiente di vita è considerato un indice del successo della terapia, indipendentemente dall’entità dei cambiamenti interni. Ogni paziente ha i suoi tempi per quanto riguarda la rapidità del cambiamento e la capacità di affrontare i conflitti. Al momento della conclusione si fa un bilancio di cosa ha funzionato e degli obiettivi raggiunti, se tutto è andato bene succede che sia il terapeuta che il paziente si ritengono soddisfatti del lavoro svolto, constatando che le aree di libertà si sono ampliate, l’equilibrio personale è migliorato, si aprono prospettive nuove dove il paziente sente che ora può sperimentarsi, e i sintomi si sono attenuati o sono scomparsi, non facendo più da ostacolo alla crescita.
Accanto all’accresciuta consapevolezza, alla sensazione di conoscersi meglio, al senso di autoefficacia percepito in modo più costante, la conclusione è comunque un momento di separazione, quindi si sperimenta una certa tristezza per la fine di un lavoro svolto con intensità e per cui ci si sente grati.
Può capitare che la prospettiva di una conclusione riaccenda dei sintomi nel paziente, in parte come espressione di incertezza per il futuro, in questo delicato momento anche i limiti della relazione terapeutica possono diventare più labili; bisogna dunque prestare particolare attenzione affinché questi non vengano superati. A volte in questa fase si riacutizzano vissuti di perdita dove il paziente li avesse sperimentati dolorosamente nella sua storia passata, c’è quindi bisogno di lavorare ancora un po’ sul tema della perdita affinchè questa esperienza possa essere una buona separazione, costruttiva, e non uno strappo brusco. La separazione può essere un atto dinamico creativo del Sé che non si potrebbe manifestare altrimenti.
In genere comunque, paziente e terapeuta sono contenti e fiduciosi che il lavoro di autoriflessione possa essere portato avanti in autonomia, il paziente ha appreso degli strumenti più efficaci nel rapportarsi a se stesso e alle sue sofferenze, il processo analitico ha ristabilito le naturali potenzialità ad evolvere del paziente.
Scrive Freud: “Non ci si porrà come fine quello di appianare tutte le particolarità umane a favore di una normalità schematica o addirittura di pretendere che una persona analizzata a fondo non provi più passioni o non sviluppi più conflitti interni. L’analisi ha il compito di instaurare le condizioni psicologiche più favorevoli per le funzioni dell’Io; a questo punto il suo compito può dirsi assolto”.
Avere fatto analisi non significa sapere di più, ma aver acquisito la possibilità di mettersi in relazione col proprio mondo interno senza troppe paure. Il terapeuta consente nuove articolazioni agevolandone le varianti più favorevoli. Ci possiamo attendere, a conclusione di una buona analisi, una duttilità, una propensione alla non rigidità e un’ampliata funzione di pensabilità, cioè l’Io raggiunge la sua massima capacità psicologica di funzionare.
La conclusione della terapia è una fase solitamente piacevole e creativa, spesso si ritrova una maggior capacità di godere di una sorta di armonia fra sè e le cose, le sedute sono vivaci e fluide. Si presentano contemporaneamente sentimenti di perdita e distacco ma anche il desiderio di spostarsi in altre possibilità di crescita; i sentimenti di tristezza impliciti nella conclusione sono mitigati dalla sicurezza che proviene dalle nuove acquisizioni.
Risultati importanti di una psicoterapia spesso avvengono dopo la conclusione, nel momento in cui il paziente interiorizza il terapeuta e la sua funzione analitica e mette in pratica quelle modalità diverse, più competenti ed evolute, che il professionista gli ha trasmesso per prendersi cura di sé. La conclusione dell’analisi non può essere pensata come un momento che esaurisca il mistero della vita psichica : le terapie ben riuscite in effetti “non finiscono” nel senso che lasciano aperture a nuove acquisizioni, ci saranno sempre delle zone che non sono state analizzate, il processo di crescita continua sempre, anche dopo la fine, semplicemente ora il paziente ha mezzi più efficaci per continuare il lavoro da solo e per affrontare meglio le difficoltà che la vita gli metterà davanti.
Gabbard G.O., Rielaborazione e conclusione della terapia, in Introduzione alla psicoterapia psicoanalitica, 2007
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