Attaccamento Sicuro: base per le future relazioni

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Bowlby teorizza l’attaccamento come predisposizione biologica del piccolo verso la persona che gli assicura la sopravvivenza, prendendosi cura di lui. L’attaccamento è un sistema comportamentale innato di primaria importanza nello sviluppo del bambino, finalizzato a permettere di instaurare una specifica relazione con la madre. Il comportamento di attaccamento si attiva in situazioni di pericolo o bisogno ed è volto ad aumentare la vicinanza della madre che assicura protezione e cura.  Sono il bisogno di contatto e di conforto a muovere il piccolo verso una figura di attaccamento.

L’attaccamento può essere definito come “ogni forma di comportamento che appare in una persona che riesce a ottenere o a mantenere la vicinanza a qualche altro individuo differenziato o preferito. Tale comportamento viene attivato dalla separazione o dalla minaccia di separazione dalla figura di attaccamento e viene eliminato o mitigato dalla vicinanza che, a seconda della natura della minaccia, varia per grado e intensità”.
La caratteristica comportamentale dell’attaccamento è tentare di raggiungere e mantenere un dato livello di vicinanza con l’oggetto interessato, che va dal contatto fisico in certe condizioni, alle intenzioni o comunicazioni a distanza in altre. I comportamenti di attaccamento sono comportamenti che inducono la vicinanza e il contatto. Si distinguono dunque nell’uomo due principali classi di comportamenti che mediano l’attaccamento: i comportamenti di segnalazione (pianto, sorriso, gesti) che servono da  richiamo, e i comportamenti di accostamento (aggrapparsi, seguire) che hanno tutti l’effetto di avvicinare il bambino alla madre. Ciò significa che il bambino nasce con una predisposizione, inscritta nel patrimonio genetico della specie umana, a ricercare e a conservare la vicinanza con una figura specifica che normalmente è la madre. L’aspetto più generale che caratterizza quindi il comportamento di attaccamento non è la relazione alimentare, ma “il mantenimento della vicinanza con un altro, con la tendenza a ristabilirla quando è venuta a mancare e la specificità dell’altro”.
L’attaccamento si struttura a partire dalla convergenza tra alcuni comportamenti che egli mette in atto e che rappresentano schemi biologicamente programmati per mantenere la vicinanza (il pianto, il sorriso, l’aggrapparsi) e le risposte dell’adulto che appartengono anch’esse alla categoria degli schemi programmati per renderlo sensibile ai segnali del bambino. La vicinanza alla madre e l’esplorazione sono i due poli nell’ambito dei quali il bambino e la figura di attaccamento sono impegnati. L’esplorazione dell’ambiente viene considerata una componente antitetica del comportamento di attaccamento, infatti quanto più l’ambiente presenta pericoli e ostacoli o viene percepito come pericoloso, tanto più si accrescono i segnali del piccolo volti a mantenere la vicinanza e a ottenere protezione. Quando invece un bambino si sente sicuro tende ad allontanarsi dalla sua figura di attaccamento per esplorare il mondo. Il comportamento materno speculare a questo è quello protettivo o di recupero la cui funzione biologica è quella di proteggere il piccolo dal pericolo. L’iniziativa d’interrompere e di riprendere il contatto è presa in parte dalla madre e in parte dal piccolo e l’equilibrio tra l’aggrapparsi al vecchio e il ricercare il nuovo varia in modo complesso man mano che il bambino cresce e in modo direttamente proporzionale alla fiducia che il bambino ha nella disponibilità materna.
Bowlby differenzia 4 fasi nella costruzione del legame di attaccamento:

  • 0-2 mesi, caratterizzata da comportamenti di segnalazione non selettivi. Il bambino si orienta verso qualunque persona e produce i segnali di cui è dotato quali il pianto, il sorriso, le vocalizzazioni allo scopo di indurre l’avvicinamento, la prossimità e il contatto di qualunque essere umano, senza distinzione. Questi comportamenti hanno la funzione biologica di assicurare benessere, sicurezza e protezione.
  • 3-6 mesi, è caratterizzata da comunicazioni dirette verso una o più persone discriminate. Il bambino non muta il suo comportamento o i segnali di vicinanza verso le persone, ma appare sempre più in grado di discriminare tra figure familiari e persone sconosciute e comincia a orientarsi verso le figure familiari e, in particolare, verso quella che si prende cura di lui.
  • 6 mesi – 2 anni, appaiono segnali di mantenimento della vicinanza con la persona discriminata. Il bambino impara a camminare e amplia notevolmente il proprio repertorio comportamentale. Ora può seguire la madre, avvicinarsi, allontanarsi da lei, prendere l’iniziativa del contatto fisico. Mantiene un contatto preferenziale con la figura di attaccamento, mentre le altre persone familiari diventano figure di attaccamento secondarie e gli estranei suscitano reazioni caute e distaccate. In questa fase, si manifestano l’ansia da separazione e la paura dell’estraneo che indicano il timore di essere lasciato solo e segnalano la ben definita capacità del bambino di riconoscere e di preferire la propria figura di attaccamento. I comportamenti si organizzano intorno a una figura specifica e si struttura il legame si attaccamento vero e proprio, orientato e preferenziale. Il bambino in questa fase comincia ad organizzare la propria esperienza affettiva in termini di Modelli Operativi Interni che rappresentano l’esperienza vissuta nelle relazioni con le persone che si prendono cura di lui. I MOI riflettono in pratica, chi siano le figure di attaccamento, dove si possano trovare, cosa ci si può aspettare a proposito delle loro reazioni. Una volta costruite queste “mappe interne del mondo” tendono a stabilizzarsi nel tempo e ad autoperpetuarsi.
  • 2 anni in poi, i bambini diventano capaci di adottare comportamenti intenzionali, di pianificare i propri obiettivi e di tenere conto delle esigenze altrui. Si stabilisce un rapporto reciproco, non più unidirezionale, fra il bambino e la madre; dopo i 3 anni la maggior parte dei bambini diventa sempre più capace di sentirsi sicura in ambiente estraneo e con figure di attaccamento secondarie.

Attaccamento sicuro: caratterizza i bambini che hanno avuto una madre sensibile ai segnali di sconforto e di disagio e responsiva alle loro richieste. Sono capaci di equilibrare il comportamento esplorativo con quello di attaccamento. Potendo confidare nella responsività della madre durante le situazioni di pericolo, di stress e di paura, mantengono una sicurezza interna che consente loro di esplorare il mondo. In presenza della madre, sono in grado di concentrarsi sui giochi e di esplorare l’ambiente. Quando sperimentano la separazione mostrano in modo più o meno evidente, segni di disagio e di sconforto, ma al ritorno della madre non sono solo in grado di esprimere chiaramente il loro desiderio di vicinanza e di contatto fisico, ma riescono a essere anche da lei facilmente calmati e consolati per poi ritornare a esplorare l’ambiente.
Attaccamento evitante: caratterizza i bambini che hanno sperimentato un rapporto con una figura di attaccamento insensibile ai loro segnali e rifiutante sul piano del contatto fisico, anche in circostanze stressanti. Non sembrano avere fiducia in un’adeguata risposta materna e mostrano uno spiccato distacco ed evitamento della vicinanza e del contatto con la madre. In assenza della madre, infatti, si mostrano indifferenti, non reagiscono alla separazione e sembrano concentrati sui giochi e sugli oggetti, esibiscono un eccesso di autonomia e di attenzione al compito. Quando la madre ritorna, non si avvicinano a lei oppure evitano attivamente il contatto. Indica la mancanza di fiducia nella disponibilità del caregiver, responsabile del ricorso a una strategia consistente nel cercare di controllare precocemente o di regolare «in basso» l’attivazione delle emozioni, così da mostrare un basso grado di disagio durante la separazione e un deciso disinteresse alla riunione.
Attaccamento ansioso ambivalente: questi bambini hanno avuto una madre imprevedibile nelle risposte: affettuosa per un proprio bisogno e rifiutante su sollecitazione del bambino. Incerti circa la disponibilità della madre, appaiono quasi completamente assorbiti dalla figura di attaccamento, ma non riescono a utilizzarla come base sicura da cui partire per esplorare l’ambiente. Durante la separazione dalla madre, esprimono evidenti segni di stress, disagio e angoscia che non vengono placati nemmeno con il ritorno della madre. Anzi, al suo rientro, le si avvicinano per farsi consolare, ma poi si allontanano da lei e la rifiutano manifestando ambivalenza, espressa da comportamenti aggressivi o da lamentele inconsolabili. Questi bambini, che mostrano ansia e disagio alla separazione ma che non vengono confortati dal rientro del caregiver, sembrano aver adottato una strategia consistente nell’esagerare o regolare “in alto” le emozioni per assicurarsi l’attenzione.
Attaccamento disorganizzato: e’ considerato un fallimento nella costruzione del legame con la madre, poichè il bambino emette segnali inadeguati a mantenere e strutturare il legame. E’ incapace di comportamenti coerenti verso la figura di attaccamento, mescola insieme avvicinamento ed evitamento. Alcuni comportamenti propri di questo tipo sono: movimenti ed espressioni non diretti, mal diretti, incompleti e interrotti; movimenti fuori luogo e posizioni anomale; immobilità; espressioni e movimenti rallentati; il bambino, per esempio si avvicina alla madre camminando all’indietro, la picchia, si blocca improvvisamente (freezing) a metà del movimento, o guarda nel vuoto.

Nel caso dell’attaccamento sicuro, si costituiscono modelli operativi interni a partire dalla rappresentazione della figura di attaccamento come disponibile a rispondere positivamente e coerentemente alle richieste di aiuto e di conforto. La rappresentazione di sé, di conseguenza, è impregnata dal senso di essere fondamentalmente degno di amore e dall’idea che le proprie esigenze di conforto hanno valore, significato e potranno trovare spazio. In quelli insicuri, i modelli operativi interni convogliano una rappresentazione della figura di attaccamento come non disponibile alle richieste di aiuto e conforto, rifiutante, distante e ostile e una immagine di sé sostanzialmente non meritevole di amore, attenzione e affetto. Affinchè si strutturi normalmente il legame di attaccamento, è necessario che il bambino possa disporre di un rapporto stabile e continuativo con la figura materna. Interferenze quali separazioni prolungate e perdite esercitano conseguenze estremamente negative sull’assetto psichico del bambino. Bowlby osservò che se l’assenza della madre era definitiva o si prolungava abitualmente oltre il limite della tollerabilità, il comportamento di attaccamento rischiava di essere disattivato; si crea un blocco che impedisce di esprimere o perfino di provare il naturale desiderio di relazione intima, fiduciosa di cure, conforto e amore, cioè un attaccamento positivo. Un soggetto divenuto evitante avrà paura di entrare in relazione fiduciosa anche con gli atri, proverà il terrore di essere rifiutato; l’attaccamento è una disposizione innata che persiste cambiando solo molto lentamente.
Esisterebbe un periodo critico, collocabile all’incirca nel secondo trimestre del primo anno di vita, dopo il quale risulterebbe più difficile lo stabilirsi di un attaccamento sicuro.
Se la relazione è buona, c’è gioia e un senso di sicurezza , anche nella manifestazione del bisogno di attaccamento e nella ricerca di attenzione da parte della figura significativa. Ciò dipende dal comportamento dei genitori,  in parte innato ed in parte appreso, sia durante l’interazione con i bambini sia nella relazione con i propri genitori. Un atteggiamento positivo dei genitori fornisce ai figli quella Bowlby chiama base sicura  al tempo stesso li incoraggia all’esplorazione e all’autonomia.
L’avere sperimentato nella prima infanzia un attaccamento sicuro consente lo sviluppo dell’empatia. Nel rapporto di attaccamento sicuro il bambino può infatti  trovare nella mente del caregiver una rappresentazione di sé come individualità, dotata di sentimenti, pensieri e intenzioni; questo lo aiuterà a capire gli stati mentali propri e degli altri.
L’immagine di bambino che ne emerge è quella di un individuo dotato di una specifica competenza alla socialità che gli permette di utilizzare le sue risorse per assicurarsi la presenza costante di una figura adulta, condizione basilare per la sua evoluzione psichica.

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