Il mestiere di psicoterapeuta è fatto di cose lente, segue i tempi del cambiamento interno, ci si abitua a notare le sfumature delle cose che mutano piano piano, si procede per piccoli passi, sintonizzandosi coi bisogni dei pazienti e si aspetta, si aspetta: la pazienza è una caratteristica fondamentale, per entrambi.
Poi arrivano dei momenti, che sembrano improvvisi, come usciti dal nulla, in cui si ha la chiara percezione che è avvenuto un passaggio, un’evoluzione, è come sentire una voce che parla forte, dopo tanto tempo trascorso a sussurrare.
Il cambiamento non può essere inteso come un processo di tutto o nulla, ma deve essere inteso come un progredire graduale del paziente verso una maggiore consapevolezza e autonomia.
Sono momenti carichi di emozione, in cui le fatiche fatte prendono significato, è come respirare aria pulita a pieni polmoni dopo aver trattenuto il fiato a lungo.
E’ fatto così l’affascinante viaggio della psicoterapia, di lunghe attese in cui sembra che tutto sia immobile e poi piccoli salti in avanti; sembra che non stia succedendo niente e invece il terreno, ben curato, si prepara a far spuntare la prima piccola fogliolina verde, poi attese, e poi un’altra e un’altra ancora.
Mi piace usare la metafora del giardino, perché spesso l’aspettativa di una persona che arriva carica di sofferenze è quella di lenire immediatamente il dolore, trovarsi in un batter d’occhio con un bel giardino verde e rigoglioso, invece questo richiede tempo, dedizione e tante cure.
Ma quando si impara come fare, si seguono i tempi delle stagioni, si guarda con benevolenza ogni piccola fogliolina nuova che spunta, allora il verde comincerà a prendere forma ed espandersi, non perché qualcuno è arrivato mettendo piante già pronte, ma perché si è avuta la pazienza di scegliere i propri semi, quelli che ci appartengono e non quelli di altri, si è avuta la cura di aspettare che crescessero, si sono messe protezioni per le stagioni fredde, e si può finalmente godere del proprio giardino interno con la sensazione che sia casa nostra.
Il cambiamento deve venire da dentro il paziente e non dal terapeuta; questo è uno dei motivi per cui il terapeuta non dà consigli, ma giuda il paziente che impara ad ascoltare le proprie spinte creative al cambiamento. Il lavoro analitico è un’esperienza di conoscenza che permette di dare nuovi significati alla propria storia per favorire il raggiungimento di nuovi equilibri nel rapporto con se stessi e in rapporto al mondo.
I cambiamenti sorprendono sempre un po’; spesso i pazienti, che pure arrivano in terapia con la richiesta di cambiare, rimangono un po’ stupiti a scoprire parti di sé che non conoscevano, a imparare ad usarle e si accorgono che sono loro ad aver seminato, bagnato, pulito le erbacce. Una delle emozioni più belle nel mio lavoro è guardare i loro occhi mentre osservano i frutti dei loro sforzi, hanno le mani sporche di terra e lo sguardo pieno di soddisfazione.