Il setting: contenitore di emozioni

setting in psicoterapia

Per setting si intende l’insieme di regole  che devono essere rispettate perché sia possibile il processo psicoanalitico;  comprende sia condizioni formali come lo studio, l’orario, il pagamento, le vacanze, sia il particolare assetto interno del terapeuta caratterizzato dall’ascolto, il contenimento, l’empatia, la neutralità.
La cornice del setting, il quadro, coi suoi contorni e i suoi confini, serve ad impedire interferenze nell’attività associativa del paziente e in quella del terapeuta, creando uno spazio protetto rispetto alla realtà esterna, e favorisce anche il contenimento della sofferenza psichica,  a tutela sia del paziente che del  terapeuta.
Il setting quindi si configura come un insieme di regole formali esterne e di atteggiamenti mentali interni del terapeuta che rende possibile lo svolgersi del lavoro analitico, favorendo una  comunicazione non inibita da parte del paziente. I confini e le regole del lavoro vengono concordate all’inizio del trattamento, paziente e terapeuta  costruiscono insieme il campo entro cui potranno lavorare in sicurezza, in un clima accogliente, chiaro e reciprocamente condiviso; l’integrità del setting garantisce il tranquillo fluire delle interazioni nello spazio  analitico.La situazione analitica resta isolata dal contesto esterno con le sue distrazioni, e favorisce il contatto con la sfera psichica, c’è la certezza che “i pensieri folli” non andranno al di là della stanza d’analisi, si arriverà alla fine della seduta e le pesanti verità emerse verranno dissipate chiusa la porta. Possono attivarsi affetti potenti senza paura di giudizio da parte del terapeuta.
Il setting deve essere solido, stabile e regolare ma anche flessibile;  varia tra terapeuti diversi, perchè ognuno adatta le regole  che condivide col paziente in base a come sente di poter lavorare meglio e varia anche nello stesso terapeuta con diversi pazienti. Deve essere rigoroso, ma  non significa che debba essere rigido, deve poter contenere i bisogni del paziente e in alcuni casi particolari (ad esempio con gli adolescenti o con pazienti molto regrediti) può essere utile apportare delle modifiche in modo che il setting non venga percepito come uno schermo, una barriera che blocca, ma continui ad essere qualcosa che rassicura e “contiene”. Se applicate in modo eccessivo le regole del setting possono portare ad una posizione interna di rigidità ed inflessibilità, serve invece che la cornice renda sicura l’atmosfera per entrambi i partecipanti, ma permettendo loro di essere spontanei.
Winnicott considera il setting come un ambiente facilitante dove  il Sè sofferente può far posto al vero Sè , deve quindi essere “sufficientemente buono“.
Affinchè possa stabilirsi un Io integrato, occorre che vi sia una madre sufficientemente buona;  il terapeuta  sufficientemente buono si adatta al bisogno del paziente, permette  l’esperienza  di essere solo in presenza dell’altro  senza sentirsi invaso, riattivando così il processo evolutivo.
Bleger evidenzia che la struttura costante del setting ha  per il paziente la stessa funzione che ha la simbiosi con la madre nello sviluppo dell’Io del bambino, fa da sostegno e si nota solo quando non funziona bene. Per questo motivo il setting può diventare depositario delle parti più indifferenziate della personalità.
La funzione di contenimento (holding) permette al bambino di sentire  un ambiente affidabile, proteggendolo da frustrazioni eccessive, e  consente  la costruzione  dell’Io e la creazione di condizioni adatte all’espressione del  Sè.
Il terapeuta sufficientemente buono è in grado di preoccuparsi del suo paziente , come una buona madre, deve garantire continuità e stabilità. Il terapeuta  è capace di stare con il paziente senza rifiutarlo né inglobarlo, di accoglierlo dentro di sé senza confondersi, di sostenerlo senza camminare al suo posto, di aiutarlo a pensare i suoi propri pensieri.
Così come nella diade madre- bambino è necessario un terzo, il padre, che aiuti la separazione, l’uscita dalla simbiosi, anche nella situazione analitica è necessaria la presenza di un terzo che è l’ assetto mentale del terapeuta,  con la sua teoria di riferimento, le sue competenze tecniche,  il suo senso etico, e la sua  esperienza che guidano nell’incontro col paziente. Il setting  quindi, è fondamentalmente l’assetto mentale del terapeuta che si esprime nei suoi aspetti esteriori.
Il terapeuta oscilla tra identificazione e osservazione: deve poter usare insieme sia il “sentire”  con il paziente, in sintonia coi suoi aspetti emotivi profondi, sia il “pensare” osservando quello che accade in seduta, è nello stesso tempo sia dentro che fuori.  Il terapeuta deve essere capace sia di contenere che di interpretare affinchè il lavoro analitico sia efficace.
Il terapeuta deve avere contemporaneamente elasticità mentale e assetto interno molto solido. Egli cerca da una parte, di mantenersi ancorato al suo compito di pensare a quel che sta succedendo e di mantenere viva la funzione riflessiva, per cercare un senso a quello che lui e il paziente si stanno facendo; nello stesso tempo deve lasciarsi profondamente coinvolgere in quel che succede.

I pazienti spesso fanno delle “trasgressioni” del setting, piccole o grandi, è importante saper ascoltare i messaggi che queste rotture della cornice portano, a volte è l’unico modo che i pazienti hanno di dar voce a qualcosa che non sanno ancora mettere in parole, un modo per esprimere angosce non sufficientemente elaborate. Bisogna quindi interrogarsi sempre sul significato di quello che sta succedendo in queste circostanze, ricordando che i pazienti fanno il loro mestiere di pazienti e cercano in ogni modo di farsi capire con gli strumenti che hanno a disposizione. Sta al terapeuta saper ascoltare e dare significato  a questi gesti, restituendoli man mano al paziente che potrà riappropriarsene. I momenti critici in analisi possono essere meglio affrontati grazie alla funzione del setting e della sua costanza, collegata alla presenza del terapeuta come persona.
Ovviamente anche al terapeuta può capitare di fare rotture del setting, può doversi assentare, cambiare studio, o possono capitare molte  altre situazioni che nella vita di tutti i giorni sembrano banalità ma che invece, in analisi, possono avere una grande importanza.  Qui mi riferisco a piccole infrazioni, o occasionali, del setting, su cui il terapeuta è in grado di mantenere uno sguardo analitico ed è in grado di riportarle ad un significato condiviso col paziente. Non approfondisco invece il tema delle gravi violazioni, o ripetute che invece inficiano processo psicoanalitico.
Assenze, ritardi,  piccoli imprevisti, sono tutti momenti che meritano un’attenzione particolare perchè sono occasioni di approfondimento su cosa avviene nel paziente e nella relazione tra paziente e terapeuta. Tutto quello che accade in seduta, tutto quello che si ripete e quello che si rinnova è ciò di cui disponiamo per fare il nostro lavoro, quindi le cose che fuori sembrano piccole ed inutili, in psicoterapia diventano importanti. Lavoriamo  con emozioni, sensibilità, vissuti delicati, e piccole cose che interferiscono col setting assumono  un significato rilevante.  L’analisi è una situazione particolare di cui non esiste alcun modello nella vita reale, ed è proprio perchè si struttura così che può essere efficace, consentendo, paradossalmente  attraverso il rispetto dei suoi confini, una grande libertà di movimenti affettivi, emotivi,  pensieri, fantasie ed espressione di sè autentica  del paziente.
Il setting analitico è  quindi, un’ estensione della mente dell’analista, funziona  come un contenitore delle emozioni precoci, nei suoi aspetti esterni e interni, è ciò che incornicia, definendolo, il lavoro psicoanalitico, è ciò che sostiene e protegge  il paziente, l’analista e la loro relazione.

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