Occorre somigliarsi un po’ per comprendersi,
ma occorre essere un po’ differenti per amarsi.
Paul Bourget
Blog di Psicologia e Psicoterapia a cura della dott.ssa Annalisa Scaffidi
Occorre somigliarsi un po’ per comprendersi,
ma occorre essere un po’ differenti per amarsi.
Paul Bourget
L’erotomania o Sindrome di De Clérambault è definita come una “posizione delirante che consiste nella convinzione di essere per l’altro un oggetto d’interesse”.
De Clérambault studia e descrive il delirio d’amore: è una sindrome passionale morbosa. Non è un delirio interpretativo. È opportuno riunire questa sindrome ai deliri di rivendicazione e ai deliri di gelosia, sotto la categoria deliri passionali morbosi. I deliri interpretativi hanno per base il carattere paranoico, cioè un sentimento di sfiducia. Essi si sviluppano in ogni senso e la personalità globale del soggetto è in gioco ma esso non è eccitato; i concetti sono multipli, cangianti e progressivi, l’estensione avviene per irradiazione circolare, l’epoca di esordio non può essere determinata.
Le sindromi passionali si caratterizzano per la loro patogenesi, le loro componenti sia comuni, sia speciali, i loro meccanismi ideativi, la loro estensione polarizzata, la loro iperstenia che qualche volta giunge all’apparenza ipomaniacale, la messa in gioco iniziale della volontà, la nozione di obiettivo, il concetto direttivo unico, la veemenza, le concezioni complete improvvise. Continua a leggere “Erotomania: delirio d’Amore”
Probabilmente so perché solamente l’uomo è capace di ridere.
Egli soffre così profondamente che ha dovuto inventare il riso.
Friedrich Nietzsche
Un amico è colui che ti conosce per ciò che sei,
che capisce dove sei stato, che accetta quello che sei diventato,
e che tuttavia, gentilmente ti permette di crescere.
William Shakespeare
Non è semplice definire la creatività, la si può considerare la capacità di svolgere attività produttive particolari, il processo creativo sfocia sempre in un prodotto che sia un libro, un’opera d’arte, un’idea, ecc, e questo prodotto ha le caratteristiche di novità (è innovativo, introduce qualcosa di non convenzionale), originalità (è inconsueto, a volte unico), qualità (ha un suo valore), e apprezzabilità (può essere stimato come qualcosa di valido).
Gli psicologi Geteels e Jakson condussero una ricerca su ragazzi dagli 11 ai 18 anni, utilizzando una batteria di test notarono che molti soggetti con punteggi alti nei test di intelligenza avevano punteggi bassi nelle prove di creatività, e viceversa. In effetti creatività e intelligenza sono due cose diverse.
La creatività non indica per forza essere geniali, è una componente della struttura intellettiva umana, in tutti i c’è creatività anche se in diversi gradi, e può essere favorita.
Continua a leggere “La Creatività e il Pensiero Divergente”
“Si usano gli specchi per guardarsi il viso,
e si usa l’arte per guardarsi l’anima” .
George Bernard Shaw
La sindrome di Stendhal fu proposta nel 1997 dalla psichiatra Graziella Magherini, che osservò la comparsa di crisi acute e inaspettate in turisti messi di fronte ad opere d’arte di grande bellezza.
Non si tratta di una sindrome in realtà, viene classificata come una manifestazione psicosomatica transitoria che può includere sintomi come tachicardia, capogiro, vertigini, confusione, e può manifestarsi in persone che contemplano opere d’arte di particolare bellezza, soprattutto se queste si trovano in spazi stretti.
Dal punto di vista neurobiologico un’ interpretazione di questo fenomeno sembra collegarlo a particolari aree del cervello deputate al riconoscimento di caratteristiche significative dell’oggetto rappresentato nell’opera d’arte, che si attivano alla vista dello stimolo artistico innescando un forte vissuto emotivo.
Continua a leggere “La sindrome di Stendhal: turbamento di fronte alla bellezza artistica”
Trovare le parole è magnifico. Trovare la parola giusta è così importante. Le parole sono come cuscini: quando sono disposte nel modo giusto alleviano il dolore. James Hillman
La psicoterapia è una cura fatta di parole: due persone si incontrano regolarmente, e parlano. Ma il tessuto di cui è fatto questo dialogo è molto complesso, si mettono in moto processi profondi, sia consci che inconsci, legati allo specifico modo di stare in seduta di “quel paziente con quel terapeuta”.
“Con le parole un uomo può rendere felice l’altro o spingerlo alla disperazione, con le parole l’insegnante trasmette il suo sapere agli allievi, con le parole l’oratore trascina con sé l’uditorio e ne determina i giudizi e le decisioni. Le parole suscitano affetti e sono il mezzo comune con il quale gli uomini si influenzano tra loro. Non sottovaluteremo quindi l’uso delle parole nella psicoterapia” (S. Freud). Continua a leggere “Una cura fatta di Parole”
La teoria dei Modelli operativi interni formulata da Bowlby offre una rilettura del concetto di “coazione a ripetere” con cui Freud esprime uno dei principi fondamentali della teoria psicoanalitica: gli adulti ricreano nei rapporti interpersonali della propria vita le esperienze relazionali che hanno sperimentato nell’infanzia. La continuità e la ripetizione delle relazioni implicano l’esistenza negli individui della capacità di interiorizzare e perpetuare modelli di relazione. I Modelli operativi interni permettono di comprendere i complessi processi attraverso cui gli schemi relazionali di attaccamento tendono sempre più a diventare patrimonio mentale del bambino stesso. Bowlby fornisce un’ipotesi interpretativa di tale processo: la ripetizione delle relazioni si verifica perché l’esperienza interna ed il comportamento nelle relazioni sono strutturati secondo modelli operativi interni o modelli rappresentazionali del Sé, della figura di attaccamento e, per estensione, degli altri. Per Bowlby l’organismo umano, fin dalla nascita, non è un’entità isolata spinta dalle pulsioni in cerca di un oggetto sul quale scaricare la tensione accumulata, ma una persona in relazione ad altre persone. La relazione con il mondo di ogni individuo è determinata non solo da fantasie inconsce, ma anche da modelli operativi interni che includono elementi affettivi, cognitivi e comportamentali legati alla sua esperienza. Continua a leggere “Modelli operativi interni: Fiducia in se stessi e nelle Relazioni”
La Klein propone che esista fin dai primi stadi di vita un processo psichico attraverso il quale aspetti del sé non sono semplicemente proiettati sulla rappresentazione psichica dell’oggetto (come nella proiezione), ma dentro l’oggetto, in modo tale da controllare l’oggetto dall’interno e giungere all’esperienza dell’oggetto come parte di sé. Nella identificazione proiettiva il soggetto proietta su qualcun altro un affetto o impulso per lui inaccettabile come se fosse realmente l’altro ad aver dato vita a tale affetto o impulso. Il soggetto non disconosce ciò che ha proiettato (a differenza della proiezione semplice), ma ne rimane pienamente consapevole, semplicemente lo interpreta erroneamente come reazione giustificabile nei confronti dell’altro. Continua a leggere “Identificazione proiettiva: una forma di comunicazione”
La passività mentale, la fantasticheria e il sogno sono fenomeni psichici di estrema importanza per la nostra salute psichica.
Quando il nostro pensiero è al lavoro si ha la concentrazione attiva, mentre la passività mentale (concentrazione passiva) si ha nei momenti in cui i pensieri vanno, noi abbiamo un’aria assente, guardiamo nel vuoto. Se ci si chiede a cosa stiamo pensando in quei momenti diciamo “ a niente”, anche se in realtà i pensieri ci sono, solo che sono molto lontani dall’attenzione per cui vengono subito dimenticati. Sono momenti in cui lasciamo vagare i pensieri e sono importanti intervalli di riposo mentale. Continua a leggere “Sogni ad occhi aperti”
Il termine Burnout in italiano si può tradurre con “bruciato”, “scoppiato”, “esaurito”. E’ generalmente definito come una sindrome di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione e derealizzazione personale, che può manifestarsi particolarmente nelle professioni che prevedono implicazioni relazionali molto accentuate, come le professioni di aiuto ( infermieri, medici, insegnanti, assistenti sociali, vigili del fuoco, ecc). La sindrome da Burnout è l’esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le persone quando sono presenti eventi stressanti eccessivi e non si riesce a rispondere in maniera adeguata agli alti carichi di stress che il lavoro comporta. E’ una sindrome multifattoriale caratterizzata da un rapido decadimento delle risorse psicofisiche e da un peggioramento delle prestazioni professionali. Continua a leggere “Burnout”
Carl Rogers descrive il processo di cambiamento nel corso della terapia soprattutto dal punto di vista dell’esperienza del cliente e spiega la modificazione e la crescita della personalità facendo riferimento ad una forza di base presente nelle persone, definita “tendenza attualizzante”, corrisponde ad un movimento finalizzato alla realizzazione delle potenzialità dell’individuo. Il fine della terapia è creare le condizioni favorevoli che permettano a questa forza di operare per consentire alla persona di muoversi verso la propria autorealizzazione. Continua a leggere “Il cambiamento in psicoterapia”
“Si raffiguri l’anima come la potenza d’insieme di una biga alata e di un auriga. Ora tutti i cavalli degli dèi e i loro aurighi sono buoni e di buona razza, ma quelli degli altri esseri sono un po’ sí e un po’ no. Innanzitutto, per noi uomini, l’auriga conduce la biga; poi dei due cavalli uno è nobile e buono, e di buona razza, mentre l’altro è tutto il contrario ed è di razza opposta. Di qui consegue che, nel nostro caso, il compito di tal guida è davvero difficile e penoso”. (Platone, Fedro)
Continua a leggere “La biga alata, Freud e le funzioni dell’Io”
“Donne che corrono coi lupi” è un saggio di psicologia femminile incentrato sull’archetipo della Donna Selvaggia e le tappe fondamentali nello sviluppo del proprio femminile, quei momenti cruciali e decisivi che tutte viviamo in un modo o nell’altro. Clarissa Pinkola Estés è analista junghiana, studiosa di etnologia, e anche cantadora e utilizza le storie in terapia con le sue pazienti. Il mito o la fiaba contiene tutte le istruzioni di cui una donna ha bisogno per il suo sviluppo psichico, attraverso le storie le donne possono riavvicinarsi alla loro vera natura, che spesso è schiacciata dalle incombenze quotidiane, dai ruoli sociali, dalle aspettative altrui, mentre il bisogno primario per stare bene con se stesse è poter essere libere, più consapevoli di sè e più pronte ad affrontare le vicissitudini della vita senza lasciarsene sommergere. Le storie mettono in moto la vita interiore, e questo è particolarmente importante quando la vita interiore è spaventata o bloccata, “sono medicine, disseminate di istruzioni che ci guidano nelle complessità della vita”. La fiaba rende manifesti i pericoli, indicando al contempo come salvarsi da essi, le storie sono un’arte curativa, sono medicine, balsamo potente, attraverso di esse, “maneggiamo energia archetipica” che porta a cambiamenti. Continua a leggere “Porsi le Domande giuste – Donne che corrono coi Lupi”
Un aspetto molto gradevole dell’essere psicoterapeuta è la possibilità di avere a che fare con molte persone, molto diverse tra loro, in un contesto speciale che consente una visione approfondita, vera, vicina, toccante, fuori dai classici schemi della vita quotidiana. Ogni persona entra nella stanza della psicoterapia con qualcosa da insegnare, qualche sfumatura non ancora vista, con qualche angolazione di veduta particolare, insolita, curiosa, che accende un piccolo fuoco, magari sopito in un angolino buio fino ad allora, ed è una spinta interna che prende forma, uno sguardo privilegiato sui mille volti dell’intelletto, le sue sottigliezze, le sue astuzie, che spesso destano stupore, fascinazione e ammirazione. Continua a leggere “Fare psicoterapia è come stare sotto un cielo stellato”
Il giudizio del padre e l’impatto di questo giudizio sulla costruzione della femminilità sono temi molto studiati in psicologia. E’ difficile diventare una donna completa, a proprio agio con la propria identità femminile, senza aver ricevuto lo sguardo ammirato e narcisizzante del primo uomo, il padre.
La complicità padre-figlia è manifesta in tenera età, mentre durante l’adolescenza solitamente l’espressione è più limitata anche a causa dei conflitti che in questa fase si fanno più accentuati; le figlie femmine tendono ad essere più controllate dai genitori rispetto ai figli maschi, e in questa fase il dialogo tra padre e figlia diminuisce, aumenta invece quello con la madre con cui le figlie tendono a confidarsi più volentieri.
Per la bambina, comunque, sentirsi amata dal padre è una importante risorsa, permette di superare il trauma della differenza tra i sessi e getta le basi per lo sviluppo del suo narcisismo femminile. Dal canto loro, le figlie, insegnano la “lingua materna” al padre, cioè lo rendono partecipe di quel processo attraverso cui madre e bambino entrano in contatto, fin da subito, è un linguaggio basato sula fisicità, sulla biologia, sul contatto, in cui il padre tende ad inserirsi in un modo diverso, orientandosi più nel guidare il bambino verso l’esplorazione del mondo. Il padre come funzione paterna introduce cambiamenti di ritmi rispetto alla modalità materna, e lo fa diversamente rispetto ad un figlio maschio, la figlia femmina comunica molto di più le sue esigenze e le sue preferenze. La bambina è più attiva nel farsi capire dal padre, dove invece il maschietto si muove più per somiglianza.
Allora pensò che per quanto la via sia incomprensibile, probabilmente noi la attraversiamo con l’unico desiderio di ritornare all’inferno che ci ha generati, e di abitarvi al fianco di chi, una volta, da quell’inferno, ci ha salvato.
Capiva solo che nulla è più forte di quell’istinto a tornare dove ci hanno spezzato, e a replicare quell’istante per anni. Solo pensando che chi ci ha salvati una volta lo possa poi fare per sempre. In un lungo inferno identico a quello da cui veniamo. Ma d’improvviso clemente. E senza sangue.
(Senza sangue, Alessandro Baricco)
Prendo a prestito le parole dello scrittore, esulando anche dalla trama del libro , per dare voce a quello che tutti, in modi diversi, cerchiamo di fare, riattraversare i momenti difficili, che ci hanno “spezzati”, col bisogno di “riaggiustare” le nostre ferire interne, tutti attraversando i nostri dolori, alla ricerca di uno spazio nuovo, restaurato, in cui le ferite smettano di sanguinare.
Il cambiamento è un processo complesso, e viene definito in modi diversi dai vari approcci terapeutici, lo scopo è comunque quello di portare il paziente a funzionare meglio , il terapeuta e il paziente fanno uno sforzo comune per comprendere quali sono gli ostacoli che bloccano il cambiamento, la crescita e un adattamento più funzionale, la relazione terapeutica è il luogo dove si cerca di dare senso alle cose che accadono, per rimettere in moto i processi evolutivi che si erano bloccati.
Continua a leggere “La Relazione Terapeutica come motore del Cambiamento”
Il termine insight, “vedere dentro”, si può tradurre con “intuizione”, “presa di coscienza”; in psicologia indica la capacità di vedere dentro una situazione, o dentro se stessi, avere una percezione chiara, una intuizione netta e immediata di fatti esterni o interni. Avere un insight significa giungere ad uno sguardo che va oltre la superficie, cogliere la profonda natura di qualcosa, in modo quasi improvviso, cogliere dei legami che prima non si vedevano, trovare un nuovo punto di vista, più chiaro e coerente su qualcosa che prima non si comprendeva.
Può capitare di averne nella vita di tutti i giorni, ad esempio dopo aver pensato a lungo ad un problema arriva, spesso in modo casuale, una visione diversa che ci fa guardare le cose da un’altra prospettiva e anche trovare soluzioni che prima non eravamo in grado di cogliere.
Il setting terapeutico invece è pensato proprio per favorire l’insight, è il luogo privilegiato per favorire la conoscenza di sè e il cambiamento, il colloquio psicoterapeutico ha come obiettivo allargare la consapevolezza del paziente. La capacità di avere insight è fortemente legata alla capacità di cambiamento, motivo per cui avere una “mentalità psicologica” è un prerequisito importante per la buona riuscita della psicoterapia durante la quale il paziente imparerà a coltivare, sviluppare e ampliare questa capacità.
Il concetto di insight è complesso, non implica solo una conoscenza razionale, ma un nuovo modo di sentire, indica il percepire nuove esperienze dentro di sè, vedere le cose da angolature diverse, trovare legami prima non riconosciuti, acquisire una comprensione migliore dei significati dietro ai sintomi e ai propri comportamenti. Non sono conoscenze intellettuali, sono connessioni che derivano dalla sfera affettiva ed emotiva. Continua a leggere “Insight : vedere dentro se stessi”
Col termine “gioco” si può indicare un’ ampia varietà di attività umane, gli sport, la creatività artistica in tutte le sue forme, le feste, le cerimonie, i divertimenti, gli hobby, ecc. Il giocare è sia qualcosa che promuove l’adattamento sociale, lo sviluppo personale e psicologico, sia qualcosa che è fine a se stesso che produce piacere.
Il gioco lungi dall’essere un semplice passatempo, ha un’importanza enorme; un bambino, o un adulto, che non sa giocare, cioè non sa dedicare parte della vita a divertirsi svolgendo attività fine a se stesse ma che permettono di esprimere qualcosa di personale, soffre, non può crescere. Per Winnicott il gioco è una forma fondamentale di vita. Continua a leggere “Il Gioco in Psicoterapia”
Nel disturbo dipendente di personalità la caratteristica principale è una dipendenza eccessiva, che causa disagio significativo, ed influisce negativamente sul funzionamento globale e relazionale dell’individuo.
Un elemento centrale è l’eccessivo bisogno di essere accuditi che determina, nei soggetti dipendenti, un comportamento sottomesso e un forte timore della separazione; quando la relazione è minacciata il dipendente può sperimentare ansia e depressione.
Le persone con disturbo dipendente di personalità faticano a prendere decisioni autonomamente, vanno spesso alla ricerca di consigli e rassicurazioni da parte degli altri e possono anche delegare agli altri decisioni importanti sulla loro vita.
I soggetti dipendenti hanno difficoltà ad iniziare progetti in modo indipendente, e il timore di venire rifiutati porta ad essere troppo compiacenti. Si sentono a disagio nella solitudine e tentano in ogni modo di evitarla, l’aspettativa di essere da soli e di dover contare su se stessi provoca ansia. Quando termina una relazione importante si sentono devastati, il timore di poter essere abbandonati segna ogni rapporto significativo, restano molto feriti dalle critiche e dalle disapprovazioni. Continua a leggere “Dipendenza Affettiva nelle relazioni”
La qualità della relazione paziente-terapeuta è cruciale per la buona riuscita della psicoterapia, sia come veicolo per l’interpretazione sia come espressione di una relazione nuova, che anche se non è esplicitato, può avere di per sè una valenza di cambiamento.
La coppia analitica è il luogo dove avviene la trasformazione, non il paziente, non l’analista, ma ciascuno dei due e il legame tra loro.
Non si è certi su quali siano gli strumenti efficaci per indurre il cambiamento, se ne definiscono alcuni a cui ogni approccio pone diversi gradi di attenzione: relazione/interpretazione, comprensione dei conflitti/esperienza nuova e diversa, introiezione della funzione analitica/elaborazione dei conflitti. Probabilmente gli analisti nel loro lavoro usano tutti questi strumenti, anche se nelle teorie di riferimento che seguono vengono dati pesi diversi ad ogni elemento. Continua a leggere “Il Transfert: tra Ripetizioni e Trasformazioni”
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Mi è sempre piaciuta questa poesia, anche se Montale parla della moglie, amata e scomparsa, mi trovo a pensare come questa immagine si ritrovi anche nella psicoterapia, dove il terapeuta in qualche modo fa da guida al paziente, che metaforicamente “non vede bene” nell’intrigo delle sue sofferenze, ma in fondo è lui che vede in se stesso meglio di chiunque altro, ed è lui che guida il terapeuta alla scoperta del suo mondo interno indicandogli, in modi più o meno evidenti, la strada da seguire. Quindi come nella poesia, i ruoli si mischiano, in effetti il miglior conoscitore di sé stesso è proprio il paziente, e il terapeuta diventa un fedele alleato e compagno di viaggio, aiutandolo a disegnare nuove mappe di territori magari ancora inesplorati, scendendo milioni di scale, insieme, dandosi il braccio, verso nuovi e più ampi confini.
L’emozione è un’esperienza complessa costituita da più fattori interconnessi fra loro; è nello stesso tempo una risposta fisiologica, motivazionale, cognitiva e comunicativa, accompagnata da una dimensione soggettiva e personale.
Generalmente si distinguono emozioni primarie e complesse, le prime compaiono prima, sono geneticamente determinate, presenti già nel bambino piccolo e sono presenti nei mammiferi, hanno la caratteristica di essere universali e indipendenti dalla cultura di appartenenza. Non tutti gli studiosi concordano su quale sia l’elenco esatto delle emozioni di base, ma in generale si fanno rientrare in questo gruppo gioia, tristezza, paura, rabbia, sorpresa e disgusto.
La colpa fa parte del gruppo delle emozioni complesse che si sviluppano più tardi e sono maggiormente collegate all’apprendimento, all’esperienza personale e alla cultura di appartenenza. Le emozioni complesse sono vergogna, colpa, gelosia, amore, disprezzo e orgoglio. Vengono chiamate emozioni sociali perchè richiedono la capacità di riflettere sul proprio comportamento e valutarlo in base alle norme sociali del contesto di cui si fa parte. E’ infatti nelle interazioni sociali che i bambini imparano a regolare l’espressione delle emozioni, soprattutto quelle sociali, e serve che abbiano sviluppato una forma di autoriflessione poichè queste emozioni derivano dalla percezione e dal significato che diamo alle reazioni degli altri rispetto ad un nostro comportamento. Continua a leggere “Il senso di Colpa”
Il mestiere dello psicoterapeuta è affascinante, permette di vedere il mondo da angolazioni inusuali, come lo vedono gli altri, permette di sentire diversamente, è come allargare i propri sensi, paradossalmente stando chiusi in una stanza si aprono mondi sempre nuovi, spesso fatti di sofferenza e fatiche, ma anche di luci che poco a poco rischiarano le ombre.
E’ una fortuna essere ammesso nel mondo interno del paziente, un privilegio, uno spazio prezioso da trattare con cura e rispetto, una persona ci accorda una grandissima fiducia lasciandoci entrare nel suo sentire più profondo.
Uno dei momenti più particolari di questo strano mestiere è quando si arriva alla fine del viaggio fatto insieme, quando la conclusione può essere fatta bene, senza che sia troppo precoce o troppo brusca, dando ad entrambi, paziente e terapeuta, la possibilità di riflettere sul lavoro fatto, di elaborare la separazione, e di salutarsi bene, come in ogni rapporto significativo. Anche per il terapeuta, quando si conclude un lavoro svolto insieme con impegno e costanza, si tratta della perdita di una relazione significativa, è importante quindi per entrambi darsi il tempo di elaborare la tematica della perdita. Continua a leggere “Sulla Fine della Terapia”
Lo scopo fondamentale della psicoanalisi è restituire al paziente il desiderio di indagare “il mistero delle cose”. (C. Bollas)
Il metodo psicoanalitico di Freud si basa sulle libere associazioni; nella regola fondamentale viene richiesto al paziente di abbandonare il tentativo di essere preciso e scrupoloso nei suoi racconti, lasciando invece fluire i pensieri nella mente e raccontandoli così come appaiono, senza inibirli, razionalizzarli o criticarli.
Non è affatto semplice riuscire a mettere da parte il modo naturale con cui costantemente filtriamo i nostri pensieri e discorsi, spesso serve un certo allenamento per imparare ad associare liberamente, ed in effetti la comunicazione non è mai del tutto libera, ma si comincia a prestare attenzione a processi che invece di solito avvengono in modo automatico, e questa consapevolezza diventa fonte di informazioni preziose. Lo scopo è capire la nostra vita mentale lasciandoci liberamente parlare, e fermarci a riflettere dove questo non ci è possibile.
Implicitamente il metodo delle libere associazioni autorizza ad essere misteriosi, con noi stessi e con gli altri. Il paziente può vagare liberamente tra i suoi pensieri e spesso si trova a parlare di cose di cui non comprende i legami, o argomenti che non aveva pensato di portare in seduta; queste sono chiavi di lettura che indeboliscono il sintomo, chiarendolo. I sintomi presentati dai pazienti ingabbiano il soggetto, ma nello stesso tempo stanno cercando di dare un’organizzazione; il lavoro interpretativo si inserisce tra questi due poli e aiuta a comprendere la sofferenza mentale, misteriosa, dolorosa, ma anche affascinante. Continua a leggere “Le Associazioni Libere”
I sogni dei bambini, per Freud, sono semplici appagamenti di desideri e facili da comprendere, non hanno contenuti psichici complessi come quelli degli adulti. Quando la deformazione onirica non è ancora pienamente attiva, sotto i 5/7 anni, i sogni appaiono brevi, chiari, coerenti e facili da comprendere. Solitamente i sogni infantili non hanno bisogno di analisi, si collegano spesso ad un’esperienza di vita del giorno prima che spiega il sogno, come reazione psichica all’esperienza vissuta. Il bambino nel sogno trova un appagamento diretto, non censurato, dei suoi desideri. Continua a leggere “I Bambini e il Sogno”
La dipendenza da gioco, o gioco d’azzardo patologico, fa parte dei disturbi del controllo degli impulsi, nel Manuale dei Disturbi Mentali è descritto dall’incapacità di resistere alla tentazione “persistente, ricorrente e maladattiva” di giocare somme di denaro elevate.
La caratteristica essenziale del gioco d’azzardo patologico è il comportamento di gioco disadattivo persistente e ricorrente che compromette diverse area di vita della persona come le relazioni familiari e l’attività lavorativa. L’individuo trascorre molto tempo pensando al gioco, ad esempio rivive esperienze di gioco passate, pianifica la prossima giocata, o pensa a come ottenere denaro con cui giocare. Continua a leggere “La Dipendenza da Gioco”
La capacità di comprendere il comportamento interpersonale in termini di stati mentali è fondamentale nell’organizzazione del Sè e nella regolazione affettiva; nel modello di Fonagy e Target questa capacità è definita mentalizzazione, o funzione riflessiva.
Mentalizzare significa costruire rappresentazioni mentali complesse e affettivamente connotate della propria mente e di quella altrui e comprendere che le persone agiscono sulla base di tali rappresentazioni. La capacità di mentalizzazione è una componente importante dell’incontro tra menti e anche della capacità di riflettere su se stessi sia come oggetti che come soggetti. La mentalizzazione può essere definita come una attività mentale immaginativa preconscia, la capacità di interpretare il comportamento umano in termini di stati mentali intenzionali (bisogni, desideri, sensazioni, credenze, obiettivi e ragioni). Si può dire che si è capaci di mentalizzare se si è in grado di concepire lʼaltro come avente una mente separata e distinta dalla propria. Continua a leggere “Cos’è la Mentalizzazione”
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